LA MALATTIA DELLE ARTERIE NELLE DONNE

 

Nel 2014 scrissi un CAPITOLO su questo argomento per il libro "IL CUORE DELLA DONNA". Differenze di sesso o di genere?" pubblicato dalla dott.ssa Patrizia Presbitero

ARTERIOPATIE PERIFERICHE NELLA DONNA: 

QUANDO FINISCE IL VANTAGGIO DEL SESSO

 Caso clinico

  Quindici anni fa giunse in ambulatorio una giovane donna di circa 21 anni, senza fattori di rischio vascolare, che mi riferiva di svolgere attività podistica di tipo agonistico. 

Così dal suo racconto:

“Correvo a livello agonistico. Non so come mi sia nata questa passione, ma a partire dagli otto anni fino ai venti non ho mai smesso di correre. Come se le mie gambe avessero un ritmo loro che le faceva muovere sempre più velocemente. Superati i 20 anni ho continuato a correre, ma solo a livello amatoriale: incominciai a soffrire di mal di testa, a sentire una certa stanchezza e a diventare rossa in viso. Fu mia sorella a salvarmi la vita. Un giorno, avevo 25 anni, mi vide più accaldata del solito e mi convinse a misurarmi la pressione: avevo 180 su 100! Venni ricoverata in un altro Ospedale e qui fui sottoposta ad angiografia: si trattava di una stenosi”.

La stenosi dell’arteria renale di destra era causata da fibrodisplasia del tratto medio-distale e fu sottoposta ad angioplastica con solo pallone della stessa con buon risultato immediato e remissione dell'ipertensione arteriosa. A distanza di circa 8 mesi si verificò una restenosi con ricomparsa dell'ipertensione arteriosa. Fu nuovamente sottoposta ad angioplastica e questa volta con il posizionamento di uno stent, che  rese duraturo il risultato morfo-dinamico e clinico della procedura. 

La paziente ha goduto di buona salute per diversi anni e affrontò senza problemi due gravidanze con i relativi parti. Riprendendo successivamente una regolare attività fisica, si accorse che non presentava claudicatio intermittens durante la marcia, ma notò che non riusciva più a correre, in quanto dopo poche centinaia di metri si doveva fermare per la comparsa di dolore crampiforme alla gamba destra.

Al controllo ecodoppler si iniziò ad evidenziare la comparsa di una stenosi di grado moderato dell'arteria iliaca esterna destra a circa 2 centimetri dall'origine. Si pensò ad un'iperplasia reattiva dovuta al doppio accesso femorale destro per l'esecuzione delle angioplastiche renali. Tale riduzione di calibro dell'iliaca esterna destra estendentesi per lungo tratto del vaso non presentava le caratteristiche dell'aterosclerosi, non si evidenziava una vera placca, ma sembrava un'ipoplasia da displasia del vaso (diametro del lume vasale di circa 3-3,5 mm), in parte simile alla precedente stenosi dell'arteria renale. Inoltre anche nell'arteria iliaca esterna controlaterale inziava a evidenziarsi una modesta ipoplasia (fig. 1 - 2)

Gli esami ematochimici non ci hanno fornito alcun indizio. La paziente continua a non presentare fattori di rischio vascolari. Anche la pressione arteriosa a distanza di anni dopo lo stenting dell'arteria renale destra si mantiene normale. Si tratta probabilmente di una malattia arteriosa da fibrodisplasia della media, che interessa generalmente l'arteria renale, l'arteria iliaca esterna e la carotide interna.

Attualmente, continuiamo il follow up ultrasonografico, mentre la paziente svolge un'attività fisica diversa rispetto alla precedente. 

D'accordo con la paziente valuteremo in caso di ulteriore peggioramento un eventuale trattamento endovascolare. 

Fig. 1
Fig. 1
Fig. 2
Fig. 2

EPIDEMIOLOGIA DELLA MALATTIA CARDIOVASCOLARE NELLA DONNA

Negli anni settanta ed ottanta nei reparti di chirurgia vascolare i pazienti ricoverati per patologia arteriosa erano prevalentemente di sesso maschile. Inoltre, nacque la convinzione tra i Chirurghi Vascolari che la patologia vascolare nelle donne era quasi esclusivamente di tipo venoso e che il sesso femminile fosse raramente colpito dalla malattia aterosclerotica.

Basti ricordare che il classico libro "Haimovici's Vascular Surgery" alla sua 4° edizione del 1996 nel capitolo dedicato all'epidemiologia della malattia aterosclerotica degli arti inferiori citava ancora uno studio di Juergens su Circulation del 1960 (1) dove veniva messo in evidenza che tra gli arteriopatici periferici non diabetici il rapporto tra maschi e femmine era di 11 : 1 . Nacque l’illusione che le donne fossero immuni dalla malattia aterosclerotica sistemica.

La pubblicazione dei dati statistici sulla popolazione nello stesso periodo mutarono queste convinzioni.

CAUSE DI MORTE. In Italia nel 2008 fra gli uomini il numero di morti per malattie del sistema circolatorio  (97.953 decessi su 281.824 totali), supera di poco quello per tumori (97.441). Tra le donne invece, come già osservato da tempo, le malattie cardiovascolari si confermano decisamente la principale causa di morte con 126.531 decessi su 296.366 (43%), mentre i tumori, responsabili di 74.767 decessi (25%), rappresentano la seconda causa di decesso con una percentuale nettamente inferiore (tab. 1). Quindi in Italia, come negli altri paesi più industrializzati, le malattie cardiovascolari sono di gran lunga la prima causa di morte nelle donne. 

Questi dati modificano radicalmente i precedenti convincimenti che ritenevano le malattie cardiocircolatorie prerogativa del sesso maschile.

Tabella 1: Cause di morte in Italia nel 2008
Tabella 1: Cause di morte in Italia nel 2008

STROKE.  L’ictus cerebrale in Italia si presenta come uno dei più importanti problemi sanitari e sociali del Paese.  E’ la prima causa di invalidità permanente, la seconda causa di demenza e la terza causa di morte (scorporando i dati con le altre morti cardiovascolari).

Se l’evoluzione demografica rimane costante, con il progressivo invecchiamento della popolazione il numero di ictus è destinato drammaticamente ad aumentare. Ogni anno 2 persone su 1000 sono colpite per la prima volta da un ictus cerebrale. Tra i pazienti colpiti da stroke il 30% muore entro il primo anno, il 40% va incontro ad invalidità permanente. 

Il 75% degli ictus colpisce i soggetti di oltre 65 anni. L’incidenza dell’ictus aumenta progressivamente con l’età raggiungendo il valore massimo negli ultra ottantacinquenni. Ogni anno si verificano in Italia circa 200.000 ictus, di cui l’80% sono nuovi episodi (155.000) e il 20% recidive, (44.000). Il numero di soggetti che in Italia hanno avuto un ictus e sono sopravvissuti, con esiti più o meno invalidanti, è calcolabile in circa 1 000 000.

Negli USA fino all’età di 75 anni, l’incidenza di ictus nelle donne è minore rispetto agli uomini, tuttavia essa risulta pari nel periodo dai 75 agli 84 anni ed addirittura maggiore dopo gli 85. Dopo questa età, ogni anno nella popolazione femminile si registrano circa 55.000 casi di ictus in più rispetto agli uomini (2)

In circa il 85-90% dei casi lo stroke è di natura ischemica, per embolia o trombosi di un vaso cerebrale. La malattia aterosclerotica dei vasi epiaortici (carotidi in particolare) rappresenta la causa più frequente di ischemia cerebrale. Circa il 10% delle persone oltre gli 80 anni hanno una stenosi carotidea superiore al 50%. Tra le altre cause di embolia cerebrale va ricordata la fibrillazione atriale, che viene riscontrata in circa il 12-15% di questi stroke. La maggior diffusione della terapia anticoagulante tra i soggetti affetti da fibrillazione atriale ha ridotto l’incidenza di ischemia cerebrale in questi pazienti, ma ha determinato un aumento di fenomeni emorragici cerebrali. Sono circa il 10-15% gli isctus emorragici e di questi nel 70% è responsabile l’ipertensione arteriosa.

L’ARTERIOPATIA FEMMINILE : SUE CARATTERISTICHE PECULIARI

Il modificarsi delle caratteristiche demografiche della popolazione italiana, come in tutti i paesi più industrializzati, nell’ultimo secolo ha determinato un’importante variazione anche dei fattori di rischio nella popolazione per le malattie vascolari.

In Italia per la prima volta nella sua storia gli over 65 superano numericamente gli under 15. Negli ultimi 30 anni  gli uomini ultra 65enni sono passati dal 9,2 all’11,4 per cento e le donne dal 12,3 al 16,0 per cento. Questo rapido invecchiamento si spiega sia con un’evidente riduzione del tasso di natalità e sia con la contemporanea riduzione della mortalità. 

Questo determina nella popolazione anziana italiana una netta prevalenza di donne ed è soprattutto negli individui di sesso femminile dopo i 70 anni che si assiste ad un’impennata delle malattie cardiocircolatorie. Tanto che l’incremento della vita media a favore del sesso femminile, insieme all’accresciuta abitudine al fumo di sigaretta, rappresenta uno dei più importanti fattori nel determinare una maggior incidenza e prevalenza di malattie cardiovascolari nella donna. 

L’Arteriopatia obliterante cronica periferica tende ad essere due volte maggiore nei maschi rispetto alle donne tra 50 e 70 anni, ma quasi identica dopo i 70 anni (3, 4, 5)

 

Il PROBLEMA DELL’ETA’: LA MENOPAUSA.

Nell’individuo maschile la formazione della placca aterosclerotica può iniziare presto, già verso i 30 anni o anche prima. Basti ricordare le prime osservazioni anatomo-patologiche effettuate sui soldati americani morti in Corea e in Vietnam.

La donna è sicuramente protetta dagli estrogeni durante il periodo fertile per cui l’eventuale inizio della patologia aterosclerotica nel sesso femminile è più probabile dopo la menopausa (verso i 50 anni), con un ritardo di circa 20 anni rispetto agli individui maschili.

La donna più si allontana dal periodo fertile e più va incontro alla malattia aterosclerotica, a volte anche in assenza di significativi fattori di rischio noti. 

Nell’ultimo secolo si è verificato un progressivo incremento della vita media della popolazione e soprattutto delle donne (da 60 ad 80 anni), mentre l’età media di insorgenza della menopausa si è mantenuta costantemente intorno ai 51 anni. Aumenta perciò la durata della stagione post-menopausale. Nei prossimi anni circa la meta’ delle donne dei paesi industrializzati sara’ in larga parte in menopausa. Per cui la menopausa, che non costituiva un problema sanitario rilevante fino a qualche decennio fa, diventerà un’importante questione socio-sanitaria.

Durante la vita fertile della donna gli estrogeni esplicano molti effetti protettivi sul sistema cardiovascolare con una miglior funzione endoteliale tramite l’aumento della liberazione di ossido nitrico, le modificazioni dell’assetto lipidico e l’inibizione dell’ossidazione lipoproteica, la modulazione del tono vascolare simpatico e del sistema renina-angiotensina, gli effetti protettivi emocoagulativi e renali. 

Nel periodo postmenopausale l’azione protettiva degli ormoni viene meno, incrementando sensibilmente, circa 3-4 volte, il rischio di eventi cardiovascolari. 

Dopo la  menopausa la ridotta produzione di estrogeni produce un aumento del colesterolo totale e LDL ed inoltre una ridotta sensibilità all’insulina, che determina un maggior rischio di sviluppare diabete mellito. Le modificazioni ormonali della menopausa possono inoltre favorire l’ipertensione arteriosa e l’aumento del peso corporeo con una ridistribuzione del pannicolo adiposo al tronco di tipo androide.

Diversi studi inoltre dimostrano un importante aumento del rischio cardiovascolare anche in donne in età fertile con deficit estrogenico di natura ipotalamica. 

Mettendo in evidenza gli effetti protettivi degli estrogeni sull’apparato vascolare, in passato si era affermata l’idea che la terapia ormonale sostitutiva (HRT) in fase postmenopausale potesse ristabilire il medesimo livello di protezione.  La HRT è da alcuni decenni al centro di controversie scientifiche sul suo rischio/beneficio.

Le prime osservazioni su un supposto effetto protettivo della terapia ormonale sostitutiva sulle malattie cardiovascolari nascono da un famoso studio osservazionale di coorte controllato degli anni ottanta, il Nurses’ Health Study (6) , che aveva segnalato una minore incidenza di eventi cardiovascolari nelle donne in menopausa sottoposte a terapia ormonale sostitutiva. 

Successivamente, a cominciare da uno studio di coorte Svedese, altre pubblicazioni hanno fornito risultati diversi e contrastanti dai primi studi osservazionali e sperimentali. 

In particolare, la pubblicazione dei risultati dello studio WHI (Women’s Health Initiative) nel 2002 (7, 8) ha completamente stravolto le conclusioni del Nurses’ Health Study. Lo studio Women’s Health Initiative ha coinvolto oltre 27.000 donne, senza storia cardiovascolare, randomizzandole ad un trattamento con estrogeni, estro- progestinici o placebo. Nel primo anno fu interrotto il braccio di trattamento estro-progestinico per il rischio troppo elevato di coronaropatia ed ictus nel gruppo trattato rispetto al placebo. Due anni più tardi fu interrotto anche il braccio estrogeni per l’elevata incidenza di ictus. 

Questi dati sono stati in gran parte confermati da altri trials randomizzati (WHIMS, Million Women Study, WISDOM). La HRT presenta un significativo aumento del rischio di incidenza di TVP, EP, ictus e IMA soprattutto nei primi anni di terapia o quando questa è intrapresa molti anni dopo la menopausa. Gli studi evidenziano anche i benefici della HRT sui sintomi della sindrome climaterica, sui disturbi legati alle alterazioni del trofismo genito-urinario, sulla prevenzione dell’osteoporosi (anche non può rappresentare la terapia di prima scelta), mentre è controversa la sua influenza sui tumori femminili.

Tuttavia i risultati di questi trials ed in particolare del Women’s Health Initiative sono ancora oggetto di discussione e necessitano di ulteriori approfondimenti. 

Dalla revisione della letteratura effettuata dal Cochrane Group sull’outcome della HRT emerge che la terapia ormonale sostitutiva in menopausa: - aumenta l’incidenza di stroke e di eventi coronarici (9, 10); -  pare non aumentare la mortalità generale; - basata sulla somministrazione di estrogeni associati a progestinici in formulazioni continue aumenta significativamente l’incidenza di episodi tromboembolici (10, 11); - basata sulla somministrazione di soli estrogeni non sembra comportare un significativo aumento del  rischio di episodi tromboembolici; - mancano sufficienti informazioni sull’incidenza di outcome cardiovascolari in donne in menopausa sottoposte a TOS in età relativamente giovane.

In sintesi, allo stato attuale delle evidenze: non è consigliato l’uso della terapia ormonale sostitutiva allo scopo esclusivo della prevenzione primaria della malattia cardiovascolare, come raccomandato della US Preventive Service Task Force. L’eventuale indicazione alla terapia andrà valutata caso per caso in base al rapporto rischio/beneficio e in caso di prescrizione andrà associata una terapia antiaggregante.

 

 

I PRINCIPALI FATTORI DI RISCHIO

 

Diabete mellito

 

In Italia vi sono circa 2.900.000 persone affette da diabete mellito, anche se pare che altrettanti soggetti sono malati senza saperlo. Il diabete presenta un'incidenza annua del 4,8% (dati ISTAT 2008) e precisamente del 5,2% per le donne e del 4,4 per gli uomini. Oltre il 90% sono affetti da diabete tipo II, la maggioranza sovrappeso/obesi.

Il diabete mellito dopo i 70 anni interessa maggiormente la donna e purtroppo questo fattore di rischio da solo può favorire in modo significativo la malattia aterosclerotica.

La presenza di diabete mellito aumenta il rischio di malattia arteriosa periferica di 2-4 volte rispetto alla popolazione generale ed in particolare il rischio di claudicatio intermittens di 3,5 volte nell'uorno e 8,6 volte nella donna. 

I pazienti diabetici con malattia arteriosa periferica degli arti inferiori hanno una probabilità da 7 a 15 volte superiore rispetto a pazienti non diabetici anch'essi con malattia arteriosa periferica di andare incontro ad un'amputazione maggiore.

Circa il 40-60% di tutte le amputazioni non traumatiche della parte inferiore di gamba viene eseguita su pazienti diabetici. E’ verosimile che l’incidenza di amputazioni legate al diabete sia di 6-8 su 1000 soggetti diabetici/anno (12, 13) . Le ulcere del piede precedono l’85% di tutte le amputazioni nei diabetici. La neuropatia periferica insieme all’arteriopatia sono i due fattori principali che condizionano l’insorgere dell’ulcera nel piede diabetico.

Il diabete aumenta il rischio di morte coronarica (rispetto ai non diabetici) molto più nelle donne (3-7 volte) che negli uomini (2-3 volte). La penalizzazione della donna è dovuta all’effetto della malattia sui lipidi plasmatici e sulla pressione arteriosa: il diabete esalta l’azione degli altri fattori di rischio e, interagendo sul legame degli estrogeni, altera la loro azione protettiva e può annullare gli effetti benefici della terapia ormonale sostitutiva della menopausa. Il diabete modifica il profilo lipoproteico facilitando la formazione della placca. Infine aumentando i livelli di fibrinogeno e riducendo la fibrinolisi accresce il rischio di trombotico.

Va inoltre sottolineato che anche un’alterata tolleranza al glucosio è correlata a sviluppo di claudicatio, con un rischio che aumenta rispettivamente di due volte negli uomini e di quattro nelle donne (14).

 

Ipertensione arteriosa

 

Lo studio di Framingham ha messo in evidenza che nella donna l’ipertensione arteriosa rappresenta il fattore di rischio indipendente più importante per l’insorgenza di malattie cardiovascolari. Rispetto all’uomo è molto più forte l’associazione con la morte precoce e con la cardiopatia ischemica.

In riferimento all’arteriopatia periferica, sempre il Framingham Study rileva che l'ipertensione arteriosa aumenta il rischio di insorgenza di claudicatio intermittens nel sesso femminile di circa 4 volte, rispetto alle 2,5 dell’uomo.

L’ipertensione arteriosa è il fattore di rischio più importante per l’insorgenza dell’ictus cerebrale, specialmente nelle donne oltre i 75 anni. E’ dimostrato da diversi studi (15) come il trattamento antipertensivo sia in grado di ridurre l’incidenza di stroke di oltre il 35%. Purtroppo come emerge dalla letteratura tra le donne ipertese di età più avanzata, quindi a maggior rischio di ictus, il 70% non ha un buon controllo dei valori pressori con il trattamento farmacologico e ciò contribuisce alla maggior incidenza di ischemia cerebrale.

Le donne hanno una percentuale di mortalità per ictus cerebrale più elevata rispetto all’uomo ed in caso di sopravvivenza, hanno un livello di disabilità residua più importante (superiore al 60%). 

 

Ipercolesterolemia

 

Il rischio di sviluppare una malattia arteriosa periferica degli arti inferiori aumenta circa del 5-10% per ogni aumento di 10 mg/dl di colesterolo totale.

Alcuni studi dimostrano che il rapporto colesterolo totale/colesterolo HDL e la lipoproteina A sono, nel loro insieme, il più potente fattore di rischio coronarico dopo l’età, e che le sue differenze di espressione sono genere-dipendenti. In particolare, la concentrazione della lipoproteina A è ereditaria, non cambia dalla prima infanzia, diversamente dagli altri lipidi plasmatici, che invece si modificano nella vita della donna e ha attività aterogena e trombogena. 

 

Fumo di sigaretta

 

Il vizio del fumo è andato rapidamente diffondendosi tra le donne in particolare negli ultimi decenni.

Il fumo di sigaretta è il fattore di rischio più importante per lo sviluppo dell’arteriopatia obliterante periferica (AOP), ancora più strettamente correlato a tale patologia che alla coronaropatia, con una probabilità di 2-3 volte superiore rispetto a quest’ultima.

Il fumo è la prima causa di morte prevenibile per le donne. Secondo Willett (16) più della metà degli infarti miocardici si associa al vizio del fumo.L'aumento di 2-4 volte del rischio di cardiopatia ischemica dovuta al tabacco è simile nei due sessi, ma diverso è il rischio in rapporto al numero di sigarette fumate. A differenza dell'uomo anche le donne che fumano poche sigarette, meno di 5 al giorno, presentano un rischio di sviluppare cardiopatia ischemica più del doppio rispetto alle non fumatrici. Nell’ambito del Progetto Cuore uno studio ha valutato la potenzialità del cambiamento dei singoli fattori sul rischio cardiovascolare a 10 anni facendo emergere per esempio che la presenza/assenza dell’abitudine al fumo di sigaretta ha un impatto sulla riduzione del rischio equiparabile alla presenza/assenza del diabete mellito (17). Il fumo ha un effetto ben documentato sul rischio di infarto miocardico e di ictus, ma sono meno disponibili dati riguardanti le patologie delle arterie periferiche (AOP), in particolare tra le donne. E' stato condotto uno studio di coorte al quale hanno partecipato 39.825 donne senza malattia cardiovascolare che sono state prospetticamente valutate per una media di 12,7 anni (18). L’esposizione durante il corso della vita ha dimostrato una significativa relazione dose-risposta, per pacchetti-anno: meno di 10, da 10 a 29 e 30 o più corrispondevano a rischio di AOP rispettivamente pari a 2,52 , 6,75  e 11,09 . Tra le donne sane inizialmente, il fumo è un potente fattore di rischio per AOP sintomatica ed è associato ad uno stato proinfiammatorio subclinico. Smettere di fumare riduce sostanzialmente il rischio di AOP, ma un aumento dell'incidenza di AOP persiste anche tra le ex fumatrici.  

 

MALATTIE AUTOIMMUNI E ARTERIOPATIE 

La malattia arteriosa nella donna può scatenarsi in conseguenza di fenomeni di tipo infiammatorio sistemico come nelle malattie autoimmunitarie. Queste malattie interessano le donne con un rapporto 3/5 : 1 rispetto agli uomini. Inoltre si manifestano in donne giovani. 

La maggiore incidenza delle malattie autoimmunitarie, in particolare lupus eritematoso sistemico (LES), l’artrite reumatoide (AR) e la sclerosi sistemica (sia come sclerodermia diffusa e sia come sindrome di CREST), nelle donne favoriscono lo sviluppo di un’aterosclerosi più precoce ed aggressiva.  Per cui anche per l’aumentata trombofilia e per le ripercussioni negative dei farmaci utilizzati per il loro trattamento queste malattie presentano una maggiore morbi-mortalità vascolare.  L’AR si associa a una diminuzione di 10-15 anni della spettanza di vita nei confronti della popolazione generale e la morte in circa il 50% dei casi è riconducibile a cause cardiocircolatorie (19, 20).  Le donne con LES di età inferiore ai 45 anni hanno un rischio di infarto miocardico acuto 50 volte maggiore di quanto atteso nella popolazione generale (21, 22, 23)

La sclerosi sistemica colpisce anch’essa maggiormente le donne e soprattutto nella sua forma chiamata CREST presenta manifestazioni cliniche internistiche anche gravi con aritmie cardiache ed insufficienza polmonare severa, senza dimenticare le necrosi digitali.

Un ulteriore fattore di rischio per la trombosi arteriosa è la sindrome da anticorpi antifosfolipidi (Sindrome di Hughes), patologia autoimmune che si riscontra principalmente in giovani donne (24, 25). Esiste una forma primitiva ed una secondaria associata ad altre malattie autoimmunitarie, in particolare il LES.
Tale sindrome è caratterizzata da trombosi vascolari (arteriose e venose), da trombocitopenia, da ripetuti aborti, pre-eclampsia ed eclampsia. La diagnosi si basa sulla ricerca di anticorpi anti-fosfolipidi: test per il lupus anticoagulant (LAC), anticorpi anti-cardiolipina, anti-β2-glicoproteina I e anti-protrombina (26).
La presenza di lupus anticoagulant (LAC) aumenta il rischio di infarto miocardico (IM) e di ictus ischemico nelle donne con età <50 anni (27).  

Nelle patologie autoimmunitarie l’aumentato rischio di aterosclerosi precoce è strettamente correlato al processo infiammatorio cronico dovuto all’alterazione autoimmune (28). La risposta infiammatoria cronica può promuovere lo sviluppo delle citochine proinfiammatorie (TNF-α, IL-1 e IL-6) che, insieme agli autoanticorpi e agli immunocomplessi, sono responsabili del danno endoteliale, dell’insulino-resistenza, della dislipidemia e dell’effetto protrombotico. In conseguenza dello stimolo infiammatorio cronico l’endotelio perde le sue principali proprietà, determinando l’inizio e lo sviluppo della placca aterosclerotica.

In vari studi è stato messo in relazione l’aumentato rischio di ictus ischemico e di infarto del miocardio (IM) con i diversi fattori di rischio trombotico: fumo, iperlipidemia, diabete, uso di contraccettivi orali (29, 30), mutazione G1691A del Fattore V (31, 32), mutazione G20210A della protrombina (33, 34) e 204Phe dell’allele del Fattore XIII (35).
Il fenomeno di Raynaud è la manifestazione clinica periferica più evidente e più frequente in molte di queste alterazioni immunitarie ed ematologiche, anche se molte volte con andamento benigno. Questo fenomeno è l’espressione clinica di una crisi ischemica transitoria causata da vasocostrizione delle arterie digitali, delle arteriole precapillari e degli shunts arterovenosi precapillari. Tale fenomeno interessa le estremità, in particolare le dita delle mani e dei piedi. 

Il freddo è la principale causa scatenante, anche se diversi altri fattori come gli stress emotivi possono innescarla. 

La durata e la frequenza del fenomeno di Raynaud è molto variabile: in genere si tratta di episodi brevi della durata di pochi minuti, nei casi più gravi può prolungarsi oltre un’ora ed essere innescato anche da stimoli deboli. Soprattutto nel fenomeno di Raynaud secondario a connettiviti autoimmuni il danneggiamento progressivo delle piccole arteriole delle dita si traduce, nel 25-40% dei casi, nella comparsa di ulcere ricorrenti, infezioni o di necrosi a livello delle dita, molto dolorose e causa di importante limitazione della qualità di vita. L'evoluzione del fenomeno può portare a necrosi più significative fino alla necessità di amputare (non frequente) in parte o in toto le dita interessate.

ARTERITI, FIBRODISPLASIE E ANEURISMI VISCERALI

Si tratta di un gruppo eterogeneo di arteriopatie rare ad etiologia sconosciuta.

Tra le arteriti e le vasculiti ricordiamo l'arterite temporale di Horton e la malattia di Takayasu che colpiscono prevalentemente le donne. Il rapporto donne/uomini è circa di 7: 1 . La malattia di Takayasu interessa in particolare le donne prima dei 50 anni, mentre l'arterite temporale è più frequente dopo i 50 anni. Dal punto di vista istologico entrambe si presentano come un'arterite a cellule giganti. L'arterite di Horton ha un'andamento meno aggressivo rispetto alla Takayasu ed è più rara la necessità di trattamento chirurgico.

La malattia di Takayasu ("malattia senza polsi") è un'aorto-arterite che interessa in particolare l'aorta e sui principali rami di divisione e che può determinate delle stenosi/ostruzioni segmentarie, delle dilatazioni e degli aneurismi. Tale patologia può presentare i segni e i sintomi di una malattia infiammatoria (febbre e mialgie) e di un'insufficienza arteriosa (asimmetria o assenza di polsi) come una coartazione aortica atipica. Le cause di morte sono correlate in genere alle complicanze vascolari della malattia come l'ipertensione arteriosa, l'insufficienza aortica e l'ictus. La terapia è prima di tutto medica (corticosteroidi ed immunosoppressori) ed i trattamenti invasivi (angioplastica e by-pass) vengono considerati quando compaiono manifestazioni ischemiche significative.

Le fibrodisplasie arteriose sono un gruppo raro di malattie vascolari periferiche ad etiologia sconosciuta (non aterosclerotiche e non infiammatorie) che possono determinare stenosi/ostruzioni arteriose o la comparsa di dilatazioni aneurismatiche. 

La fibrodisplasia può coinvolgere istologicamente l'intima o la media. La fibrodisplasia della media è la più frequente e nel 90% dei casi interessa il sesso femminile. Quest'ultimo tipo di displasia può colpire l'arteria renale, le altre arterie viscerali, le arterie iliache, le arterie degli arti e le arterie cerebroafferenti.

L'aorta è l'arteria maggiormente coinvolta da dilatazione aneurismatica e gli aneurismi dell'aorta sono nettamente più frequenti nel sesso maschile. Gli aneurismi delle arterie viscerali sono più rari rispetto a quelli aortici, ma rappresentano anch'essi un'emergenza clinica. Tra gli aneurismi splancnici i più frequenti (circa il 60%) riguardano l'arteria splenica, con un rapporto donne/uomini di 4:1 . Istologicamente questi presentano aspetti diversi da quelli degenerativi aterosclerotici aortici ed possono interessare pazienti più giovani. Essendo quasi sempre asintomatici, la rottura improvvisa con la conseguente emorragia durante una gravidanza rappresenta un'emergenza chirurgica drammatica.

 

DIAGNOSI E TERAPIA

 

DIAGNOSI. La diagnosi delle malattie arteriose periferiche ovviamente non può prescindere da un'attenta anamnesi e da un semplice esame obiettivo con la palpazione dei polsi arteriosi dei vari distretti, con l'auscultazione di eventuali soffi e con la misurazione della pressione arteriosa agli arti. 

La malattia aterosclerotica è una malattia sistemica polidistrettuale, per cui nello stesso soggetto si possono avere multiple localizzazioni steno-ostruttive e/o aneurismatiche contemporaneamente.

La classificazione clinica dell'arteriopatia degli arti inferiori di Leriche-Fontaine è basata sulla sintomatologia riferita dal paziente. Al I stadio la malattia è asintomatica. Solo allo stadio II inizia la comparsa della claudicatio intermittens che conduce il paziente dal medico. Lo stadio III con la comparsa del dolore a riposo e lo stadio IV con l'ulteriore presenza di lesioni trofiche rappresentano quella che viene chiamata ischemia critica e che può portare alla perdita dell'arto.

Nel diabetico questa evoluzione può essere diversa, soprattutto per la concomitante presenza della neuropatia diabetica il paziente può non avvertire dolore e giungere alla nostra osservazione già con una lesione cutanea al piede.

Soprattutto per valutare la gravità della malattia steno-ostruttiva degli arti inferiori rimane fondamentale il rapporto pressorio caviglia/braccio (ankle-brachial index - ABI) detto anche indice di Winsor, che nel soggetto normale è circa 1,1. L'ABI decresce con il progredire dell'arteriopatia.

La misurazione della Tensione transcutanea d'ossigeno (tcPO2) è utilizzata e raccomandata soprattutto nei pazienti diabetici con ischemia periferica che presentano importanti calcificazioni parietali che inficiano i risultati di altri esami diagnostici tra cui l'ABI.

L'esame strumentale ormai imprescindibile per lo studio delle malattie vascolari arteriose periferiche è l'Ecocolordoppler. L'esame permette di effettuare una valutazione morfologica ecografica dei vasi con la misurazione dei diametri, lo studio della parete arteriosa e le caratteristiche emodinamiche del flusso. E' possibile evidenziare la presenza di una placca stenosante o di un aneurisma: la sua sede, la sua dimensione, la sua estensione, le sue caratteristiche morfologiche e le alterazioni di flusso da essa determinate (accelerazioni e turbolenze). Pur presentando il limite della metodica ultrasonografica che è l'operatore-dipendenza, tale esame ha permesso di mettere in luce patologie arteriose asintomatiche ma con gravi ripercussioni cliniche, in passato non sempre ben diagnosticate, come la stenosi carotidea, gli aneurismi e le stenosi dell'aorta e delle altre arterie addominali. Per la stenosi carotidea l'ecocolordoppler può, in molti casi, essere considerato l'esame sufficiente per porre correttamente l'indicazione chirurgica.

L'Arteriografia in passato, soprattutto in previsione d'intervento chirurgico, rappresentava il gold standard diagnostico per la maggior parte dei casi. Attualmente, l'evoluzione tecnologica della TC e della RM permette di confermare, di completare o di integrare i dati forniti dall'Ecocolordoppler, oltre di studiare i distretti non accessibili agli ultrasuoni, evitando il cateterismo arterioso dell'Arteriografia a scopo diagnostico.

TERAPIA.

 

Le indicazioni al trattamento delle malattie arteriose periferiche sono analoghe per le donne e per gli uomini.

Mentre il trattamento della claudicatio intermittens (II stadio di Leriche-Fontaine) con lungo intervallo di marcia (superiore a 200 m)  è prevalentemente medico, diverso è l'approccio ai pazienti claudicanti con importante riduzione del percorso (inferiore ai 100 m), visto che quest'ultimi nell'arco di pochi mesi possono evolvere verso l'ischemia critica. Costoro, quando indicato, possono beneficiare di un trattamento endovascolare.

La terapia medica mira a correggere i fattori di rischio prima elencati e ad instaurare una terapia anti-aggregante piastrinica adeguata.

Inoltre il paziente claudicante viene invitato a svolgere una regolare attività fisica come una riabilitazione del cammino.

Ovviamente nell'ischemia critica degli arti inferiori il trattamento dev'essere più aggressivo in quanto il rischio di amputazione dell'arto è molto elevato.

Nonostante l'utilizzo di nuovi materiali per il trattamento endovascolare e di nuove tecniche chirurgiche per i by-pass distali, il numero di amputazioni maggiori in Italia e nel Mondo rimane elevato. In Italia, nell'ultimo decennio, il numero di amputazioni maggiori è stato di circa 5500-6000 casi l'anno.

Le indicazioni e raccomandazioni fornite dal Consenso internazionale TASC II hanno proposto le procedure endovascolari come primo approccio per la maggior parte delle lesioni steno-ostruttive di negli stadi clinici III e IV (36).  Negli interventi di salvataggio d'arto sono ammesse tutte le metodiche endovascolari e chirurgiche (Fig. 3 - 4).

 

Non bisogna dimenticare la possibilità di trattare in contemporanea due segmenti arteriosi nello stesso tempo con un intervento ibrido: chirurgico ed endovascolare associati.


 

La chirurgia open mediante la confezione di by-pass, anche estremi, viene presa in considerazione quasi sempre dopo il fallimento delle procedure di angioplastica o quando secondo le raccomandazioni TASC II non è consigliata la procedura endovascolare.

Il materiale più idoneo per l'esecuzione di un by-pass dell'arto inferiore è senz'altro la vena autologa (in situ o invertita) (Fig. 5), ma molte volte questa è assente o non idonea per cui è necessario l'esecuzione di by-pass con materiale protesico. Soprattutto nei by-pass estremi su vasi tibiali con scarso run off è necessario eseguire delle cuffie anastomotiche e/o delle fistole artero-venose per ridurre le resistenze periferiche e favorire la pervietà del by-pass (Fig. 6 - 7).

I risultati di alcuni studi mostrano che gli outcome clinici di interventi chirurgici a seguito di malattie delle arterie periferiche sono più negativi nelle donne rispetto agli uomini. Altri sottolineano invece che i risultati delle angioplastiche periferiche degli arti inferiori sono simili, anche se a volte nelle donne è necessario ripetere più volte la procedura (37).

Tra le arteriopatia periferiche un discorso a parte merita la stenosi della carotide extracranica.

Il trattamento della stenosi carotidea ha come obiettivo primario quello di ridurre il rischio di eventi ischemici cerebrali (TIA, ictus). L’intervento chirurgico prende il nome di tromboendoarteriectomia carotidea (TEA carotidea). E’ indicato, come emerso da numerosi trials (NASCET, ECSTA, ACAS, ACST) in tutti i pazienti con una stenosi carotidea severa compresa tra il 70-75% ed il 99% che nei mesi precedenti abbiano presentato sintomi neurologici congrui, come nei pazienti ancora asintomatici per la prevenzione dell’ischemia cerebrale (anche se il beneficio è minore per gli asintomatici). 

Il trattamento con angioplastica e stenting della carotide si sta affermando come una valida alternativa all'intervento di TEA. Pur presentandosi come una tecnica meno invasiva mostra ancora diversi aspetti da chiarire, in particolare non offre risultati soddisfacenti nei pazienti più anziani. 

Le linee guida italiane sulla prevenzione e trattamento dell’ictus (SPREAD VII edizione, marzo 2012) ritengono al momento l'intervento chirurgico di TEA carotidea ancora il gold standard per il trattamento della stenosi carotidea. La TEA carotidea con la tecnica per eversione è quella raccomandata per i migliori risultati immediati e a distanza. Ovviamente il trattamento chirurgico della stenosi carotidea è conveniente quando i rischi operatori sono contenuti (soprattutto nei pazienti asintomatici).